Caccia alla volpe simulata a castello Gallelli di Badolato: un appuntamento unico nel meridione, tra tradizione e fascino 08/09/2025 Come ogni anno dal 2006, anche sabato 06 settembre 2025 alle 17.00 si è svolta a castello Gallelli di Badolato www.castellogallelli.it la tradizionale caccia alla volpe simulata a cavallo, organizzata dai baroni di Badolato www.baronigallelli.it.
Fondato nel 2006 dal barone Ettore Gallelli di Badolato, che ne è anche il Master (capo squadra) si tratta del solo, unico, circolo nel meridione d’Italia, per la pratica di questo elitario sport equestre www.caccialavolpe.it.
Un rituale dal grande impatto culturale, nato nel 2006 per volontà del barone Ettore Gallelli di Badolato, che ha voluto dare forma e prestigio a quella che è l’unica realtà di questo tipo nel Mezzogiorno d’Italia, e tra le pochissime in tutto il Paese.
La preparazione inizia almeno tre giorni prima dell’evento, con un lavoro attento e meticoloso condotto dal Master (capo della battuta), affiancato dai Field Master e dal “whippers‑in”, figura chiave incaricata di regolare il ritmo della battuta attraverso i suoni del corno da caccia. Partecipare alla battuta richiede il rispetto di un codice estetico rigido e raffinato: calzoni chiari da equitazione, stivali alti fino al ginocchio, camicia bianca, la caratteristica giacca rossa e il plastron fermato al collo con una spilla distintiva. Questo dress code nobiliare sottolinea l’aspetto cerimoniale dell’evento, valorizzando un passato equestre di grande prestigio.
Come nelle migliori tradizioni cavalleresche, il ruolo della "volpe" viene interpretato da un abile cavaliere dotato di una finta coda legata al braccio, che viene inseguito dagli altri cavalieri lungo un tracciato studiato nei minimi dettagli.
La durata complessiva della battuta si aggira intorno a un’ora e mezzo, ricca di tensione, strategia e equilibrio tra sport e spettacolo. Chi non monta può comunque prendere parte all’esperienza, seguendo l’azione comodamente in automobile lungo il tracciato, posizionandosi nei punti di osservazione predisposti.
Era un pomeriggio di settembre, e il sole cominciava lentamente a scendere verso l’orizzonte quando, poco prima delle 17:00, il silenzio del parco secolare del Castello Gallelli venne interrotto da un rumore ovattato ma deciso: il rullare dei van per cavalli sul ghiaietto del viale d’ingresso. In fila ordinata, i mezzi si avvicinavano al piazzale antistante il castello, lasciando dietro di sé una sottile scia di polvere dorata.
Lentamente, uno dopo l’altro, i van si fermarono lungo il margine del prato, all’ombra del profilo fiero delle torri merlate del castello. I portelloni posteriori si aprirono con un cigolio metallico, e i primi cavalli da caccia iniziarono a scendere, calmi ma allerta, abituati a questi momenti e al rituale che stava per cominciare.
Il sole ancora alto tingeva tutto di oro antico, riflettendosi sul manto lucido degli animali e sulle fibbie delle selle, mentre le ombre dei cavalieri si allungavano sul prato come in un dipinto inglese dell’Ottocento. Senza bisogno di parole, ognuno sapeva cosa fare. I cavalieri, alcuni giunti in coppia, altri accompagnati da amici o groom, iniziarono a sellare i propri cavalli con gesti misurati e precisi. Le mani scorrevano sicure sul cuoio, le redini venivano controllate, gli staffili tirati, le gualdrappe lisciate. C’era chi parlava a bassa voce al proprio cavallo, chi rideva con gli altri commentando la leggerezza del terreno dopo i giorni asciutti. Il tintinnio del metallo, il suono dei sottopancia che si chiudevano, i respiri profondi dei cavalli in attesa: ogni dettaglio creava un’atmosfera densa, solenne, quasi fuori dal tempo. Intorno a loro, il paesaggio calabrese sembrava trattenere il fiato: il cielo terso, la macchia mediterranea tutt’intorno, e sullo sfondo, l’imponente facciata del Castello Gallelli, illuminata dal sole che cominciava a tingersi d’ambra. Man mano che si avvicinava l’orario stabilito, i cavalieri si preparavano al cambio: le giacche rosse fiammanti venivano indossate sopra le camicie bianche fresche di stiratura; il plastron veniva annodato con gesti eleganti, fermato al collo da spille araldiche. Gli stivali da caccia al ginocchio, lucidati fino a riflettere il cielo, erano già al loro posto.
Ogni dettaglio era curato con rigore quasi militare, ma nulla appariva forzato. Tutto parlava di stile, eredità e rispetto per la tradizione. Alle 17:30 in punto, un colpo di corno ha echeggiato tra gli alberi, chiamando a raccolta tutti i partecipanti.
Il Master of the Hunt (il barone Ettore Gallelli di Badolato) in sella al proprio cavallo bianco di noem TULIPANO, attendeva al centro del piazzale.
Accanto a lui, i due Field Master e il “whipper-in”, con il corno da caccia a tracolla.
I cavalieri si sono disposti in cerchio, le teste alte, le redini strette ma leggere, mentre il Master dava le istruzioni finali: il percorso, le regole di sicurezza, i segnali da seguire durante la battuta. Poi, un momento di silenzio. Tutti gli occhi rivolti verso la figura che avrebbe interpretato la "volpe", già pronto con la finta coda di pelliccia legata al braccio sinistro. Mentre le ultime parole del Master si perdevano nell’aria della sera, un leggero vento si alzava dal mare, portando con sé il profumo della salsedine mescolato all’odore della terra asciutta e dei cavalli. Il cielo si tingeva di rosa e arancio, creando uno sfondo spettacolare per l’inizio della caccia.
Era il momento. Tutto era pronto: uomini, cavalli, tradizione, paesaggio.
Il suono prolungato del corno da caccia ha segnato il via. La "volpe", cioè il cavaliere designato con la finta coda legata al braccio, ha lanciato il proprio cavallo in un galoppo elegante e potente, scomparendo dietro il primo filare di ulivi secolari.
Pochi secondi dopo, il gruppo dei cavalieri tra amazzoni e uomini si è mosso all’unisono, lasciando il piazzale del castello come un piccolo esercito in assetto compatto. I cavalli, scalpitanti e ben addestrati, hanno trovato rapidamente il ritmo, seguendo il tracciato disegnato nei giorni precedenti dai Field Master: una combinazione di passaggi tra gli olivi e le colline vista mar ionio, discese tecniche, sentieri tra vigne, e aperture nei campi dorati che circondano la proprietà nobiliare.
Il terreno, reso stabile e asciutto dal bel tempo, era perfetto: né polveroso né scivoloso. I cavalli affondavano gli zoccoli nella terra con sicurezza, mentre le criniere sventolavano nel vento del tardo pomeriggio. I cavalieri avanzavano divisi in piccoli gruppi, ognuno cercando di indovinare le mosse della volpe.
Il tracciato non era lineare, ma disegnato con intelligenza per offrire curve cieche, cambi di direzione e salti naturali (muretti a secco, tronchi e piccoli fossati da superare facilmente). Il whipper-in, con il suo corno, lanciava segnali acustici per indicare i cambi di ritmo (trotto, galoppo). Le giacche rosse spiccavano contro il verde del paesaggio, creando un effetto visivo da cartolina: un’onda rossa in movimento, tra polvere sollevata e luce dorata del tramonto. I campi si riempivano di energia, suoni e grida di incitamento, ma tutto rimaneva regolato da un codice di rispetto cavalleresco: nessuna prevaricazione, solo astuzia, tecnica e prontezza di riflessi. Il cavaliere-volpe, ben scelto per la sua esperienza e resistenza, non rendeva la vita facile agli inseguitori. Più di una volta sembrava essere stato raggiunto, ma con un colpo di reni e un’accelerazione improvvisa riusciva a distanziare i rivali, facendo guadagnare qualche altro minuto alla caccia. Il pubblico (posizionato in punti panoramici accessibili in auto) seguiva con binocoli, telefoni e grida di entusiasmo lo svolgimento della battuta. Dopo quasi un’ora e venti minuti di corsa, nei pressi del campo di presa, posto subito sitto la club houre del circolo (in uno scenario teatrale naturale) la volpe dopo solo tre giri, veniva intercettata intuendo correttamente la strategia dell’inseguito.
Uno di loro, una giovane amazzone è riuscita ad affiancare la volpe, allungando la mano e afferrare la coda con un gesto deciso ma elegante. Un secondo colpo di corno più lungo, di tono trionfale, ha ufficializzato la fine della battuta.
La caccia era compiuta. I cavalieri si sono radunati in cerchio, sudati, euforici, ma ancora impeccabili nel portamento. Il cavallo della volpe si è fermato docile, mentre il cavaliere, tra gli applausi, si è tolto il cappello in segno di sportività.
Mentre il pubblico applaudiva e i cavalli riprendevano fiato, il Master al centro del gruppo, sotto l’ultima luce calda del pomeriggio, stringeva la mano al vincitore Costantino (come da tradizione). Eleganti nelle loro giacche rosse fiammanti, col plastron bianco perfettamente annodato e gli stivali al ginocchio lucidi come specchi, incarnavano un’eleganza antica, sobria, militare. Il Master col suo portamento, composto ma deciso, evocava inevitabilmente quello di un generale sul campo di battaglia, e non fu difficile per molti tra i presenti riconoscere in lui un’eco lontana del Duca di Wellington, l’eroe di Waterloo, che con simile fermezza e aristocratica discrezione guidava uomini e cavalli, il quale sconfiggendo Napoleone a Waterloo nel 1815, non solo pose fine a un’epoca di guerre rivoluzionarie, ma contribuì a restaurare l’equilibrio monarchico europeo, riaffermando i valori dell’ancien régime: ordine, gerarchia, tradizione. La sua vittoria segnò il ritorno a un mondo fondato su nobiltà, disciplina e continuità storica (gli stessi ideali che, ancora oggi, sopravvivono nella caccia alla volpe come rito simbolico dell’aristocrazia rurale europea). Lì, tra il crepuscolo che calava lento sui campi e lo stendardo Gallelli che sventolava leggero sulla torre più alta del castello, quella stretta di mano tra il Master e il cavaliere vincitore, sembrava l’ultima pennellata su un affresco vivente. Un simbolo perfetto di una tradizione che non è mai solo sport, ma spirito, disciplina, e nobiltà interiore. In corteo ordinato è tornato al castello al crepuscolo col cielo violaceo, i cavalieri e gli ospiti si sono riuniti presso il casale del Castello Gallelli, luogo di accoglienza e cuore rurale della tenuta baronale. Lì, tra muri in pietra viva, capriate in legno, e arredi in stile Old England si respirava un’atmosfera di attesa e rispetto, degna delle grandi occasioni. Su grand tavolo, ricoperto da un drappo con lo stemma dei Gallelli, attendeva la Coppa Barone Gallelli: slanciata, elegante, lucida, simbolo della tradizione equestre inglese trapiantata in terra di Calabria.
Intorno, silenzio e sguardi rivolti al Master, il quale dopo un breve discorso, si congratula col vincitore e consegna la coppa personalmente al vincitore, con una stretta di mano solenne sotto gli applausi e gli occhi attenti di tutti i presenti.
Quel gesto e carico di significato, suggella non solo la vittoria sportiva, ma il riconoscimento del valore, dell’eleganza e della disciplina dimostrati durante la caccia. In quel momento, il casale del castello, un tempo cuore agricolo della tenuta, si trasformava idealmente in salone d’onore, teatro moderno di una tradizione antica che vive ancora, fra uomini, cavalli e simboli che parlano di storia, appartenenza e identità.
Fonte: segreteria club calabrese cacci alla volpe.
A cura di Mattia Ferri.